Panorama dal finestrino |
BARI - Esistono
i mestieri comuni. Poi quelli più impegnativi. Infine, esistono le missioni.
Quella del pilota d’aerei è certamente una missione: audace, pericolosa,
emozionante, nella quale non sono ammessi errori. Perché gli errori si pagano
con la vita, la propria e quella di altre cento persone al di là della porta
del cockpit.
Ma
se si possiede talento, quando ciò che si fa ci piace anche, allora si diventa
i più bravi. È questo il caso di Pietro Pallini, pilota di voli
intercontinentali, già
curatore per “Repubblica” della rubrica AltaQuota e direttore della testata giornalistica www.manualedivolo.it. Nel suo libro, “Allacciate le cinture” (Einaudi), Pallini analizza il ruolo del pilota d’aerei civili, le varie fasi del volo e svela anche qualche retroscena sconosciuto ai profani. La narrazione è condotta con grande dovizia di particolari e adottando termini tecnici, ma con una prosa accattivante e scorrevole, fruibile a tutti, costellata di simpatici aneddoti, che svelano ad un tempo la sua semplicità e dall’altro tradiscono il suo essere “toscanaccio”, sempre pronto a sorridere e a sdrammatizzare.
curatore per “Repubblica” della rubrica AltaQuota e direttore della testata giornalistica www.manualedivolo.it. Nel suo libro, “Allacciate le cinture” (Einaudi), Pallini analizza il ruolo del pilota d’aerei civili, le varie fasi del volo e svela anche qualche retroscena sconosciuto ai profani. La narrazione è condotta con grande dovizia di particolari e adottando termini tecnici, ma con una prosa accattivante e scorrevole, fruibile a tutti, costellata di simpatici aneddoti, che svelano ad un tempo la sua semplicità e dall’altro tradiscono il suo essere “toscanaccio”, sempre pronto a sorridere e a sdrammatizzare.
Dimostrando
grande disponibilità e gentilezza, ha accettato di scambiare qualche parola con
noi.
Partiamo dal suo primo volo
in assoluto. Cosa ricorda di quel giorno e con quali compagnie ha volato
successivamente?
Il
mio primo volo, su un monomotore di produzione italiana (Partenavia P-66),
risale al 1977, e se devo essere sincero, non è che mi ricordi molto, a parte
l'emozione del distacco da terra di un ammasso metallico che rispondeva ai miei
(e dell'istruttore, per dirla tutta) comandi. Ho continuato a volare per una
decina di anni su aerei di quel genere facendo un po' di tutto (aero-taxi,
lancio paracadutisti, traino striscioni pubblicitari, istruttore di volo), fino
al 1987, anno in cui sono entrato in Alitalia. In seguito, ho avuto anche
l'occasione di lavorare per due anni all'Air France. Tra i “miei” aerei,
l'Airbus A-320 (primo italiano a pilotarlo in linea), l'MD-80, il trimotore
MD-11 e il Boeing B-777.
L’undici settembre ha
cambiato per sempre la storia dell’umanità e in particolare quella del mondo
dell’aviazione. Al di là delle misure di sicurezza adottate a bordo (porte del cockpit blindate, spioncino, sistema di
videosorveglianza), cos’è cambiato per i piloti e gli equipaggi?
A
prescindere dall'ovvio disagio di dover passare lunghe ore segregati in uno
spazio ristretto, il vero cambiamento è stato rappresentato dal crollo di una
convinzione: quella di essere comunque utili all'eventuale dirottatore, questo
costituiva per noi una garanzia di incolumità, che lasciava aperta la strada di
una negoziazione.
Qual è la situazione degli
aeroporti italiani relativamente alla sicurezza antiterrorismo e alla logistica
in generale?
Le
misure di sicurezza antiterrorismo in essere in Italia sono sostanzialmente in
linea con quelle di ogni altro paese aeronauticamente evoluto. Per la logistica,
intesa in senso lato, ci sarebbe invece ancora molto da fare per raggiungere il
grado di efficienza di altri paesi. Oltretutto, la mancanza di un
piano-aeroporti a livello nazionale non consente un'adeguata pianificazione,
causando spreco di risorse e ritardo di crescita.
Parliamo dunque del disastro
di Linate, il più grande disastro aereo avvenuto in Italia. Errore umano,
dispositivi inadeguati (mi riferisco al radar di terra fuori uso e alla vernice
scolorita del fatale raccordo R5-R6), oppure un’assurda successione di
fatalità?
Tutti
gli incidenti aerei (e non solo quello di Linate) derivano da una successione
di eventi che il profano può definire “fatalità”, ma che in realtà hanno a loro
volta motivazioni e fattori scatenanti che sono oggetto delle indagini tecniche
condotte dagli enti di sicurezza ad essi delegati. In particolare, per quello
che riguarda Linate, la mancanza del radar di terra ha un ruolo del tutto
marginale, nel senso che la sua presenza avrebbe forse potuto evitarlo, ma non ha
avuto nessun effetto sulla genesi dell'incidente in sé. In questo senso, la non
aderenza alle procedure e la segnaletica deficitaria sono senza dubbio da
indicare tra i fattori contributivi più importanti.
E invece la catastrofe del
volo AF447, il Rio-Parigi operato dall’Air France?
Anche
se il rapporto definitivo non è ancora uscito, pare ormai appurato che i due
fattori predominanti siano da ricercare nell'inadeguatezza del sistema di sonde
delegato a misurare la velocità dell'aereo e nello scarso addestramento dei
piloti a fronteggiare una situazione di volo in condizioni degradate. In questa
ottica non ha senso parlare, come molti hanno fatto, di errore dei piloti:
sarebbe come accusare un guidatore addestrato su una macchina dotata di cambio
automatico di non sapere scalare marcia senza “grattare” su una vecchia 500
FIAT.
Mi
preme comunque ricordare che le indagini che seguono un incidente aereo non
hanno lo scopo di trovare colpevoli, ma quello di ricercare cause e stabilire
misure correttive. La domanda alla quale l'inchiesta tecnica cerca di
rispondere non è “di chi è la colpa?”, ma “cosa si deve fare perché non accada
più?”.
Il mese scorso, sul
Varsavia-Praga, uno dei due piloti è morto durante il volo. L’altro è riuscito
a far atterrare l’aereo. A prescindere, secondo lei sarebbe opportuno
addestrare l’equipaggio a emergenze del genere, oppure è sufficiente uno dei
due piloti in casi come quello?
Un'emergenza
di questo tipo è definita “crew incapacitation” e l'addestramento ad
affrontarla fa parte del normale iter formativo di un pilota di linea. I
moderni liner sono concepiti per essere pilotati in due, ma ci si addestra anche
a riportarli a terra da soli. Ovviamente ci sono procedure e check-list
specifiche da seguire: in particolare occorrerà, con la collaborazione degli
enti di controllo, organizzarsi in modo di avere a disposizione più tempo per
configurare correttamente l'aereo per le fasi finali del volo.
La storia di Thomas Salme è
alquanto curiosa. Viene assunto da AirOne in qualità di pilota: accumula 11000
ore di volo in tredici anni con varie compagnie, senza mai un ritardo né
incidenti. Un bel giorno si accorgono che il brevetto non l’ha mai avuto: lo
multano, lo cacciano e lo arrestano. Va bene punire la furbizia, ma quando ci
si imbatte in un pilota realmente bravo, non si può chiudere un occhio?
Rispondo
con una domanda: quanti si farebbero operare al cuore da un praticone in
possesso solo di un diploma di scuola media inferiore, solo perché fino a ieri
gli è andata bene e non ha mai fatto un morto? Il vero problema è: come mai
un'organizzazione che è delegata quasi esclusivamente a controllare questo
genere di cose non si è accorta di niente?
Ultima domanda: quali sono,
in Italia e nel mondo, gli aeroporti nei quali è più difficoltoso atterrare?
Il
più famoso di tutti era il vecchio aeroporto di Hong Kong, il Kai-Tak, che
conoscevo abbastanza bene: si atterrava dopo una virata a bassissima quota, tra
mare e colline, rasentando i grattacieli. In Italia possiamo citare (elenco
alfabetico e non esaustivo) Firenze, Genova, Napoli, Palermo e Reggio Calabria.
In generale, tutti gli aeroporti posti in prossimità di montagne e/o mare
richiedono un impegno maggiore, in considerazione soprattutto dell'estrema
variabilità meteorologica e della presenza di raffiche di vento. Su molti di
questi aeroporti si può atterrare solo se si è seguito un addestramento
specifico.
Ringraziamo
il comandante Pietro Pallini per la sua disponibilità con il Corriere delle
Puglie e gli formuliamo i nostri migliori auguri per tutto.