Take-off easyJet |
L’incipit del sito di Filippo Capuano, pilota di linea e comandante del Boeing 777 per Alitalia, è semplice e schietto, tipico di un uomo tutto d’un pezzo. Già responsabile del dipartimento tecnico e di formazione professionale dell'ANPAC (Associazione dei piloti dell'aviazione commerciale), spesso intervistato
per speciali tv (su tutte, ricordiamo la puntata di “Report” sul disastro di Linate), è un grande esperto della sicurezza, imprescindibile nel mondo dell’aeronautica e non solo. Gestisce, oltre al suo sito personale, una testata giornalistica online dedicata al mondo dell’aviazione (inaviation.info).
Gli abbiamo chiesto quali sono le sue opinioni in merito agli sviluppi degli standard di sicurezza in Italia, alla sicurezza di determinati aeroporti italiani e qualche altra curiosità.
Hai volato per 30 anni in Alitalia. È stato il tuo unico “amore” o hai volato per altre compagnie?
Non ho volato per altre compagnie aeree, ma l’amore, prima che per Alitalia, è stato per l’aviazione. Una compagnia aerea, ma direi qualsiasi azienda mercantile, pubblica o privata che sia, quando non riesce a sviluppare una buona cultura organizzativa, smarrisce il principio base della sua sopravvivenza e lo scopo della sua missione: la valorizzazione delle risorse umane attraverso la quale costruire la crescita ed il successo. L’amore costa farlo durare per sempre. Chi di Alitalia oggi ricorda i successi che la mantenevano tra le prime dieci compagnie al mondo? A “La Storia siamo noi”, di Gianni Minoli, si può vedere l’amore dei dipendenti verso questa compagnia aerea.
Prima di un volo, oltre alla pianificazione dello stesso e al briefing, ci sono particolari operazioni che compi per trovare la concentrazione o per rilassarti? Per esempio, ascoltare musica, fare stretching?
Non serve. Sei contento di andare in volo. È la professione che ti sei scelto. Sei mentalmente preparato a soddisfarne le criticità. Non ho mai fatto nulla, se non rispettare me stesso e le regole che ci siamo imposti per la sicurezza. Per esempio, prima di un volo, non bevo un bel bicchiere di vino rosso, anche se mi piace, anche se sono solo a casa e nessuno mi vede. Meglio non fare immersioni un giorno prima di andare in volo.
Non serve. Sei contento di andare in volo. È la professione che ti sei scelto. Sei mentalmente preparato a soddisfarne le criticità. Non ho mai fatto nulla, se non rispettare me stesso e le regole che ci siamo imposti per la sicurezza. Per esempio, prima di un volo, non bevo un bel bicchiere di vino rosso, anche se mi piace, anche se sono solo a casa e nessuno mi vede. Meglio non fare immersioni un giorno prima di andare in volo.
Con il tuo B777 hai volato da una parte all’altra del globo. Ci sono dei trucchi per smaltire il jet-lag o prima o poi ci si abitua?
Non lo so. Dipende da ognuno di noi. A volte capitava che riposavo nella mia cuccetta del 777, il bunker come lo chiamiamo noi, per un’ora, forse qualcosa di più, nell’arco di venti ore consecutive di veglia. Poi crollavo sull’autobus che mi portava in albergo, quando l’adrenalina lasciava finalmente lo spazio ad altri ormoni. Non ci si ferma mai abbastanza per prendere il fuso del posto in cui ti trovi. I turni di volo sono talmente stretti e ignoranti delle più elementari riserve mediche sulla fatica fisica e mentale, che ti chiedi se non sia una pazzia proporli e accettarli. Comunque, mangiare quando si ha fame, dormire quando si ha sonno, camminare molto, un po’ di sport, poca sauna, non farsi mancare lunghissime docce, e apprezzare quello che fai, gioire di dove ti trovi senza paragonarlo a tutte le altre parti del mondo che conosci.
Parliamo di sicurezza nel campo dell’aviazione, partendo proprio da Linate, che a mio avviso costituisce una sorta di “anno zero” per l’aviazione italiana. A fine testata sorge il deposito passeggeri, alle spalle del quale è presente un parcheggio taxi e subito dopo un distributore di carburante. Perché molto spesso la geografia di determinati aeroporti non rispetta gli standard di sicurezza (150 metri oltre la pista di decollo senza ostacoli e con il fondo in buone condizioni)?
Non è Linate l’anno zero. Purtroppo non c’è un anno zero. Posso dirti che facciamo presto a dimenticare, ecco perché pensiamo a Linate come all’anno zero. Non lo è. Linate ha solo dato la sveglia. Per qualche anno “il chi va là” è stata la regola che ha accompagnato il cappuccino del mattino. Talvolta si è anche esagerato. Altre volte la sicurezza è stata barattata sull’altare di un interesse piuttosto di un altro. Non del compromesso, purtroppo inevitabile quando devi bilanciare più rischi concomitanti, ma dell’interesse economico vero e proprio. Facciamo una cosa piuttosto di farne un’altra. Cominciamo un programma che chiamiamo di sicurezza, ma che siamo disposti ad abbandonare al primo alito di vento, alla prima difficoltà. Posso dirti che ho incontrato persone molto serie che hanno lavorato coscienziosamente. Oggi sono in vigore regole che aspettavano da una vita di essere promulgate. Gli aeroporti saranno pure dei grandi negozi, ma devono stare attenti ad esporre bene la merce, altrimenti prima o poi gli si fracasserà sotto i piedi. E l’organizzazione è tale che anche chi non vorrebbe alla fine qualcosa è costretto a fare per la sicurezza. Però si dimentica. Si incassano i risarcimenti e il tempo che scorre aiuta a dimenticare. Purtroppo, l’animo umano è quello che è e anche chi non dovrebbe, alla fine dimentica, spesso per un tozzo di pane promesso. Noi piloti abbiamo abdicato un po’ al nostro ruolo di controllo, quasi che la chiusura di Alitalia abbia reso inutile il nostro dovere di attenzione critica; quasi che argomentare sia motivo di danno più che di beneficio. Piloti più attenti all’interesse privatistico del datore di lavoro? Piloti distratti sull’interesse pubblicistico del ruolo? Non lo so, ma Linate è sempre dietro l’angolo, basta girarsi per vederlo arrivare.
In altri casi, invece, la sicurezza viene compromessa in virtù della costruzione o del sorgere di immobili. Mi riferisco a Napoli Capodichino (pista “accorciata”), oppure Reggio Calabria, dove oltre alle costruzioni ci sono le montagne che rendono impossibile il “riattacco” (cioè il riprendere quota dopo l’avvicinamento fallito, nda).
Reggio Calabria è un aeroporto di straordinaria singolarità. Napoli non è da meno, ma Reggio Calabria vive di una sua unicità. Ma se non fosse esistito Reggio Calabria, come avremmo assicurato la mobilità dei calabresi e dei messinesi? Un aeroporto è necessario per favorire la logistica del territorio e con essa il suo sviluppo. Quando non c’è, va inventato. Quando non c’è spazio, vanno trovate le soluzioni tecniche; quando la soluzione non è a portata di mano e di tasca, ci si inventano delle procedure cautelative.
In un tuo articolo, ti chiedi se l’avvento del glass cockpit (strumentazione digitale di ultima generazione, una specie di “cruscotto” dell’aereo, nda) sia un rischio per piloti non abituati alla tecnologia. Il glass cockpit compie molte azioni in automatico che in precedenza erano effettuate manualmente dai piloti e comporta una “filosofia di volo nuova”, in cui da una funzione “attiva” del pilota si passa a una “passiva” di sorveglianza. Ma specifichi anche che “non tutto è visibile e sotto controllo come si pensa”. Secondo te occorre ricorrere a una via di mezzo – nell’ottica dell’insostituibilità dell’uomo – oppure effettuare una volta per tutte il salto di qualità, addestrando cioè tutti i piloti ai cockpit di nuova generazione?
È un articolo che ho scritto una quindicina di anni fa. Mi resi conto mentre addestravo dei colleghi a questo tipo di cockpit, ma anche mentre ci volavo, che non si trattava più di imparare soltanto quanto era lungo il cavo di alimentazione di una pompa elettrica. Con questo tipo di aereo ci voleva una “testa diversa”. Bisognava imparare a pensare in un altro modo, sviluppando anche una buona dose di sfiducia su ciò che una tecnologia affascinante e ipnotica ti metteva sotto gli occhi. Prova ad immaginare lo schermo del computer con una grafica accattivante e multicolore, ma con un desktop zeppo di file di ogni possibile estensione. Ci vuole tempo e soldi. Il tempo è denaro e i soldi servono per altro: ecco perché piloti esperti, che volano per compagnie aeree tra le prime al mondo, non riescono a cavarsi d’impaccio da situazioni che con cockpit tradizionali avrebbero considerato una banalità. Sì. Ci vuole più addestramento, più formazione. Bisogna spendere di più per addestrare chi deve usare la tecnologia. Mi fai venire in mente l’avaria motore di un A380. L’Airbus A380 è un glass cockpit di straordinaria bellezza. Dopo il decollo, all’aereo si è rotto uno dei motori. Capita. Fatte tutte le cosine necessarie per predisporre il nuovo atterraggio, l’aereo è arrivato finalmente al parcheggio, ma uno dei motori non ne ha voluto proprio sapere di spegnersi. Né i piloti a bordo, né i tecnici della compagnia aerea interessata, né i costruttori del motore, hanno saputo cosa fare per spegnere quel motore. Ci hanno pensato i vigili del fuoco dell’aeroporto, innaffiandolo di schiuma.
Ultima domanda, quella che mi pongo più spesso. L’aeroporto (uno per Italia e uno nel resto del mondo) nel quale è più difficile atterrare. Non ti è concesso di rispondere “quello di Bari- Palese”!
Gli aeroporti non sono né facili né difficili. Hanno delle peculiarità che vanno affrontate. Per rimanere in casa e non disturbare gli aeroporti nel mondo, posso dirti che quando volavo con il DC9, che aveva un cockpit preistorico già a quei tempi, per ridurre la quantità di dirottamenti a Linate, ma non solo, ci inventammo gli avvicinamenti di CATII. Si arrivava con il pilota automatico fino a circa 100 piedi e stabilito il contatto con la pista, si sganciava l’autopilota e si atterrava a mano. Una bazzecola, quando la nebbia c’era veramente. Per l’aeroporto di Genova, quando l’atterraggio a causa del vento forte avveniva in direzione di Levante, ci inventammo una procedura che a ricordarla mi sembra da mozzafiato. Reggio Calabria soffre ancora oggi degli stessi limiti di quando non avevo i capelli grigi e benché la tecnologia e l’ingegneria abbiano fatto un bel balzo in avanti e l’aeroporto potrebbe farne tesoro, i limiti che ci inventammo a suo tempo per garantirne la sicurezza, là sono rimasti, immutati nel tempo. Un mio collega una volta mi disse che gli unici capelli bianchi che aveva erano dovuti agli avvicinamenti e ai decolli che aveva fatto a Reggio Calabria, ma sappiamo tutti che i piloti esagerano sempre.
Gli aeroporti non sono né facili né difficili. Hanno delle peculiarità che vanno affrontate. Per rimanere in casa e non disturbare gli aeroporti nel mondo, posso dirti che quando volavo con il DC9, che aveva un cockpit preistorico già a quei tempi, per ridurre la quantità di dirottamenti a Linate, ma non solo, ci inventammo gli avvicinamenti di CATII. Si arrivava con il pilota automatico fino a circa 100 piedi e stabilito il contatto con la pista, si sganciava l’autopilota e si atterrava a mano. Una bazzecola, quando la nebbia c’era veramente. Per l’aeroporto di Genova, quando l’atterraggio a causa del vento forte avveniva in direzione di Levante, ci inventammo una procedura che a ricordarla mi sembra da mozzafiato. Reggio Calabria soffre ancora oggi degli stessi limiti di quando non avevo i capelli grigi e benché la tecnologia e l’ingegneria abbiano fatto un bel balzo in avanti e l’aeroporto potrebbe farne tesoro, i limiti che ci inventammo a suo tempo per garantirne la sicurezza, là sono rimasti, immutati nel tempo. Un mio collega una volta mi disse che gli unici capelli bianchi che aveva erano dovuti agli avvicinamenti e ai decolli che aveva fatto a Reggio Calabria, ma sappiamo tutti che i piloti esagerano sempre.
Ringraziamo il comandante Filippo Capuano per la sua disponibilità con il Corriere delle Puglie e gli formuliamo i nostri migliori auguri per tutto.