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martedì 18 ottobre 2011

Il dramma del volo AF 447 Rio-Parigi: le nuove verità.


I resti dell'aereo (courtesy of telegraph.co.uk)
RECIFE - L’1 Giugno 2009, il volo Air France 447, effettuato dall’aeromobile A330-200 (F-GZCP), partito da Rio de Janeiro e diretto a Parigi, affonda nell’Atlantico, a largo delle coste del Senegal, dopo tre ore di volo. Il bilancio è di 228 vittime, tra queste anche dieci italiani.


Il comandante del volo, Marc Dubois, ha quasi 11000 ore di volo all’attivo,
mentre il jet, considerato uno dei più sicuri al mondo, è stato revisionato l’ultima volta nell’Aprile 2009: troppo tempo prima, considerata la tratta e considerato che, dall’Aprile del 2005 – data in cui l’aeromobile è divenuto operativo – al momento dell’incidente, ha totalizzato ben 18.870 ore di volo. Occorre anche rilevare che il 17 Agosto del 2006 quello stesso Airbus era stato coinvolto in una collisione a terra al Charles de Gaulle, riportando lievi danni.


Molti hanno gridato all’attentato, viste le personalità rilevanti a bordo, tra cui ricordiamo il Principe Pedro Luís d'Orléans-Braganza, in corsa per la successione al trono del Brasile e Pablo Dreyfus, attivista per il controllo delle armi illegali ed il commercio di droga. Sono spuntati anche, tra i passeggeri, due nomi legati al terrorismo islamico. Successivamente, però, questa pista è stata abbandonata dalle autorità le quali hanno dichiarato che si è trattato di un caso di omonimia, confortati anche dal fatto che, dall’analisi dei resti rinvenuti, non è risultata traccia di esplosione.


Infatti, stando alle informazioni reperite dalle scatole nere (ripescate lo scorso Maggio, quasi due anni dopo l’incidente), l’aereo al momento dell’impatto con l’acqua è apparso  perfettamente integro, si è esclusa, quindi, la possibilità di un’esplosione in quota.

Come su molte tragedie della storia (vedi Ustica), non sapremo mai la verità. La sensazione è che le autorità mantengano il più segreto riserbo sulla questione.

Ma su quella rotta c’è qualcosa che evidentemente non funziona: dopo la tragedia, hanno continuato a verificarsi episodi “strani”.

Sei mesi dopo, altri piloti dello stesso volo hanno effettuato una chiamata “mayday” per improvvisa turbolenza, più o meno nella stessa zona, arrivando, però, tranquillamente a Parigi. Il 10 Luglio 2010 un altro aereo (stessa tratta) è costretto ad atterrare a Recife per un allarme bomba. Tre giorni dopo, il volo Air France AF443, proveniente sempre da Rio e diretto sempre a Parigi, dopo alcune ore di volo è costretto a tornare indietro, causa toilettes non funzionanti. Da precisare che al momento del decollo 6 toilettes su 13 non funzionavano, altre 4 hanno cessato di funzionare dopo il decollo.


Un volo maledetto. Non è retorica, è realtà. E fa male. Fa male perché tragedie, condizioni meteo avverse e persino gli attentati, sono da imputare al destino. Ma i bagni rotti, no. Non si tratta di una compagnia low-cost, ma della compagnia di bandiera francese, i cui costi dei biglietti sono tutt’altro che accessibili. 


Le cause della tragedia del volo 447 sono molteplici: l’aereo decolla alle 22.03 da Rio e tutto sembra in ordine. Il capitano, tre ore dopo, si scambia con il co-pilota e va a riposarsi; in cabina rimangono i due co-piloti. All’altezza delle coste del Senegal, l’Airbus incontra una turbolenza: il co-pilota informa l’equipaggio (“tra due minuti dovremmo entrare in un’area dove balleremo più di adesso, fate attenzione” e aggiunge “vi chiamo appena ne siamo fuori”), vengono registrati una serie di dati contrastanti tra loro, forse dovuti al congelamento dei tubi di Pitot (particolari sensori esterni che informano i piloti su altitudine, velocità, ecc.) che seminano il panico tra i co-piloti, tra l’altro – si scoprirà dopo – non addestrati a pilotare l’aereo in modalità manuale. Si rilevano vari guasti elettrici e una perdita della pressione in cabina. Il pilota automatico si disinserisce e l’aereo va in stallo aerodinamico, iniziando a perdere quota; il comandante viene svegliato dai due co-piloti.


“Non ho il controllo dell’aereo, non ho per niente il controllo dell’aereo”, trema uno di loro.


La successione di guasti continua e i piloti si trovano a non avere parametri corretti su cui operare: alle 2,14 si registra l’ultimo dei 24 messaggi ACARS lanciati in soli 5 minuti. L’ultima rilevazione che riescono a fare è la velocità (quasi 200 km/h) e l’altezza dal suolo (poco più di 2000 metri). In pratica, sono quasi a pelo d’acqua. “Sali”, ordina il comandante.


Poi, le ultime parole: “ci schianteremo, non può essere vero!”.


Jean Pierre Otelli (esperto aeronautico), nel suo libro "Crash Rio Paris, Collection erreurs de pilotage", imputa ai piloti la colpa di non aver rilevato, nonostante oltre 60 segnali di avviso, la situazione di stallo del jet. Denuncia un atteggiamento a metà tra la paura e l’incompetenza nel governare l’enorme flusso di dati (perlopiù contrastanti) che in pochi minuti sono giunti sui display dei 3 piloti e che, nonostante l’esperienza di ognuno, non sono riusciti ad analizzare correttamente per evitare la tragedia.



 Il dramma del volo AF 447 Rio-Parigi: le nuove verità.